Area Vesuviana - Francesca ha 38 anni e lavora, in qualità di commessa, in una impresa privata nel settore commerciale. È regolarmente assunta con contratto indeterminato da dieci anni, lavora dalle nove alle tredici e dalle diciassette alle ventuno. Dal lunedì al sabato. Il contratto di assunzione di Francesca però non prevede tutte quelle ore di lavoro bensì solo 30 settimanali. Lo straordinario non le è mai stato retribuito e non solo quello: percepisce un importo inferiore a quello ufficializzato sulla busta paga.
Firma ogni anno per ricevuta la “ quattordicesima” che non le è mai stata retribuita. Solo 15 giorni di ferie all’anno. Le restanti solo in caso di estrema necessità. Ovviamente quelle non godute mai riconosciute.
Francesca è preparata nel settore, ha alle spalle anni di esperienza con aziende nazionali di grosso calibro, ma sulla busta paga la sua qualifica è di operaia.
Una grossa multinazionale del nord l’avrebbe voluta all’interno del settore markenting, ma la voglia di rimanere nella sua città ha prevalso su contratti privilegiati. Francesca non è un caso isolato. Infatti nonostante il susseguirsi dei vari governi, rappresenta lo status quo del dipendente delle piccole imprese private del Sud. Il controllo degli ispettori del lavoro è sempre stato scarso e mai veramente capillare .
Certo grazie al governo Prodi un po’ di tasse in più le imprese le hanno dovute pagare per sanare lo sbilancio nazionale.
Peccato che non sia stata varata una legge che obblighi i datori di lavoro a versare sul conto corrente di ogni dipendente, ogni mese, lo stipendio con annessi e connessi. Le banche avrebbero ringraziato e non solo. Certo non si sarebbe risolto così il problema del lavoro nero, ma un miglioramento si sarebbe potuto avere.
Al Sud si preferisce pagare meno o non pagare proprio con la scusa degli oneri fiscali che regolarmente non vengono debitamente pagati allo Stato. Si sfrutta al Sud. Anche le intelligenze. Al Sud il saper essere e il saper fare non sono considerati valori primari per lo sviluppo del proprio territorio, ma valori disgiunti che aggiungono, però, potere economico alle aziende private.
Mancano gli incentivi, manca l’incipit per un giusto cambiamento, manca la mentalità imprenditoriale. Che il Nord possiede. E nessuno si sforza per conquistarla. Forse perchè il Sud ha ancora nel suo dna la maledizione del latifondo, del clientelismo. Clientelismo che ha portato sì sviluppo urbano ma anche industrie inquinanti da morire, è il caso di Taranto. Da morire veramente. Amministrazioni insomma che non hanno saputo utilizzare bene tutti i fondi che sono giunti dal Nord. Perchè spesi male, o non spesi proprio.
Taranto con il suo dissesto, la diossina, le morti bianche, l’altissima incidenza tumorale è la cartina al tornasole del Mezzogiorno. Eppure è proprio nel suo dna che il Sud potrebbe trovare il suo riscatto. Un dna pieno di cultura, di bellezze, di risorse umane, di intelligenze. Che se ben sviluppate lo renderebbero un territorio autosufficiente, ricco.

Ma affinchè ciò avvenga è necessario che tutte le intelligenze che si sentono sfruttate la smettano di piangersi addosso, o lasciare che le cose continuino ad andare avanti così aspettando la manna dal cielo, e si rimbocchino, invece, le maniche per meravigliare e dimostrare a tutti che i terroni e i cialtroni non sono poi ubicati solo al Sud. Riscattare insomma la giusta identità.