Ciò che l’attuale crisi finanziaria sta mostrando è la radicale vulnerabilità del capitalismo di terza generazione. Le crisi come questa sono la regola, non l’eccezione del capitalismo finanziario, soprattutto oggi quando la globalizzazione amplifica gli effetti. Instabilità e fragilità sono l’altra faccia di un modello di sviluppo che consente ai cento dollari di reddito reale di diventare mille e oltre, senza alcun rapporto tra quel denaro e il lavoro umano. Dovremo abituarci a situazioni come questa? Temo di sì, almeno fino a quando questo capitalismo non evolverà in qualcosa di diverso. Nel breve periodo, però, è necessario riaprire una riflessione profonda sul capitalismo, non solo economica, ma anche politica e culturale.
Alla fine degli anni Novanta la coscienza civile globale stava maturando la convinzione che il capitalismo richiedesse una diversa e più attenta governance. La Tobin tax, e il dibattito attorno ad essa, ha svolto una funzione di catalizzatore di un processo sociale che con il G8 di Genova (luglio 2001) raggiunse il suo massimo. L’11 settembre, poi, ha però deviato per anni l’attenzione della società civile internazionale sui temi della sicurezza e del terrorismo.
Ora, dopo setti anni di «distrazione», improvvisamente stiamo prendendo coscienza che c’erano un’altra «guerra» e un’altra «sicurezza» non meno gravi e urgenti dei controlli-passeggeri agli aeroporti. Questa crisi attuale ci sta dunque dicendo drammaticamente che il «capitalismo finanziario» richiede una nuova Bretton Woods. Speriamo solo che questi nuovi accordi stavolta siano democratici, che tengano conto seriamente di Africa, Asia e Sud America.
Dietro questa crisi c’è anche una crisi morale, che riguarda il nostro rapporto con i beni e gli stili di vita. L’indebitarsi oltre le possibilità di reddito è una forma di doping simile a quella di cui sono preda i «giocatori d’azzardo» della finanza. Indebitarsi per vacanze esotiche o case di lusso può essere un atto simile a quello di Pinocchio che segue i consigli del Gatto e la Volpe. La banca che presta troppo e alle persone sbagliate non è meno incivile di quella che presta troppo poco alle persone giuste.
Un’ultima considerazione. Chi in questi anni ha fatto investimenti etici (in Banca Etica, ad esempio, o nelle banche cooperative) oggi si ritrova con un risultato al tempo stesso etico, economicamente vantaggioso e molto sicuro. Questa crisi sta rimettendo in discussione il sistema degli incentivi e dei valori in gioco, anche puramente economici. Come è avvenuto tante volte nella storia, un cambiamento climatico può determinare l’estinzione di grossi mammiferi e lo sviluppo di organismi più piccoli e agili, che nel precedente clima apparivano svantaggiati.
Se questa crisi può servire a dar vita ad un nuovo patto sociale planetario per una economia più etica e aperta alla gratuità, allora sarà stata una felix culpa. Se invece guardiamo nelle nostre comode case i dibattiti televisivi sulla crisi, alternando le notizie sui crolli della Borsa all’attesa per le colossali vincite all’Enalotto, convinti che la colpa sia solo dei cattivi Gatto e Volpe di Wall Street, tra qualche mese dimenticheremo tutto, e ci ritufferemo nel doping del consumo. Aspettando la prossima crisi.
Luigi Bruni