Salerno - Il rigore artistico tradotto in vere e proprie lezioni di educazione musicale, che ricordano quelle del grande Leonard Bernstein in “Young People’s Concerts”, ed un talento da virtuoso indiscusso, con il passare del tempo rendono le stesse ancora più magiche ed affascinanti per uno dei più grandi violinisti italiani viventi: Uto Ughi. Anzi qualche volta sembrano perfino superare quelle di grandi virtuosi del violino ormai scomparsi, ma resi eterni ed indimenticabili dalla loro arte. La sua ultima esibizione al Teatro Verdi di Salerno, testimonia ancora una volta quell’impronta chiara e indelebile del virtuoso, che da anni caratterizza la vita artistica di questo autentico erede della più antica tradizione delle grandi scuole violinistiche.

Partendo dal Preludio e Allegro nello stile di Pugnani di Fritz Kreisler, Uto Ughi ha voluto rendere omaggio al suo strumento attraverso un percorso musicale e cronologico, di grande effetto sia artistico che virtuosistico. Non a caso infatti è stata proposta la Sonata No. 7 in Do minore op. 30 No. 2. di Beethoven, una sonata che raramente viene proposta nei programmi misti di concerto, non solo per la sua lunghezza, ma anche e soprattutto per l’enorme impegno che la stessa richiede all’esecutore. Infatti la severa ed oscura atmosfera dell’ultimo movimento, costruito su una quasi ossessiva ripetizione del motivo base, che viene ripetuto più di 57 volte, mette veramente a dura prova il violinista più bravo e capace, che in molti casi preferisce evitare tale sonata. Uto Ughi l’ha invece eseguita in modo impeccabile, riuscendo a produrre un’interpretazione ancora più grande delle aspettative, e con una concentrazione davvero invidiabile.

E’ sintomatico il fatto che  anche questa volta il consueto e odioso applauso fuori luogo, al termine del primo tempo, non si sia limitato ai soliti tre o quattro incompetenti della serata, ma si è incredibilmente esteso all’intera platea, nonostante qualche timido accenno di silenzio che si è soliti fare, per bloccare il fastidioso battito di mani inopportuno. Ed incredibilmente stava succedendo la stessa cosa anche al termine del secondo tempo. Ughi ha semplicemente ricordato al pubblico che c’erano ancora altri due tempi. La seconda parte del concerto, meno impegnativa ma non meno interessante, è stata caratterizzata dai Quattro pezzi romantici op. 75 di Dvorak, e dalla Suite popolare spagnola di de Falla, dove il romanticismo slavo e spagnolo hanno creato l’atmosfera adatta per continuare a sognare con la musica della seconda metà dell’Ottocento.
Come degno finale di una serata indimenticabile, è stata eseguita la celebre “Introduzione e Rondò Capriccioso” op. 28 di Camille Saint-Saens, dedicato al grande virtuoso Pablo de Sarasate,  brano entrato ormai di diritto nel repertorio violinistico internazionale, e che entusiasma sempre il pubblico per la sua carica emotiva. Ad accompagnare Ughi al violino, il pianista Alessandro Specchi, un grande interprete perfettamente in simbiosi con una celebrità come Uto Ughi, e non meno da questi, anch’egli dotato di un portamento elegante e di una figura di raffinata classe, che completano appieno le doti virtuosistiche di questo grande virtuoso del violino. E naturalmente non potevano mancare anche i due bis che solitamente propone e “fa scegliere” al pubblico in una sorta di divertente gioco musicale.

Di Bazzini, l’unico allievo di Paganini, ha eseguito la difficile e trascinante “Ridda dei folletti”, un pezzo strepitoso che fa sempre un certo effetto, per la bravura che ci vuole ad eseguire un brano così veloce, difficile e “faticoso”. Il concerto si è poi concluso con la celebre Meditation dall’opera Thais di Julies Massenet, che ha riportato in sala quella atmosfera di grande intimità con la quale questo grande artista si è congedato dal Teatro Verdi di Salerno. Una leggenda vivente che continua ad affascinare, non solo per il suo talento, non solo per il suono magico del suo violino, ma anche per quell’eleganza e quel portamento, che ne completano l’autorevole e nello stesso tempo rassicurante figura. Quella di un uomo alla ricerca costante di quel contatto umano che tutti i grandi virtuosi dovrebbero avere, quella di una grande verve divulgativa e comunicativa, perché la grandezza forse sta proprio in questo: riuscire a rendere semplici le cose più complesse. Ed in questo gli artisti sono dei veri “maestri”.